Cronache dal sottosuolo: Catania disotto parte prima

Perché “scavarsi la fossa”? Perché individuare un’opportunità in un luogo sotterraneo, oscuro, umido, denso di significati tutt’altro che gioiosi? Perché un vecchio rifugio antiaereo ricavato da una cava di pietra rossa, sotto 14 metri di pesante massiccio lavico, dovrebbe essere una risorsa sociale e culturale per il quartiere intorno e per tutta la città?

Perché dalla storia (ri)caviamo il futuro. Immaginiamo ora la colata lavica del 1669 che striscia lungo i terreni limitrofi alle mura di cinta di Catania, a loro volta tangenti il Monastero dei Benedettini, bruciando la nuda terra e rilasciando lungo il percorso metalli e minerali. Poi dopo il terremoto del 1693 quella terra bruciata e quel banco lavico divengono cava di ghiara, la bella copertura rosa che ammiriamo sulle cupole e sui palazzi nobili strappata alla terra dai tanti Rosso Malpelo: quei “carusi” che nelle cave come quella di via Daniele diventavano rossi di capelli e nella carnagione. Alla fine degli anni Trenta del ‘900 la Cava Daniele viene destinata ad accogliere un rifugio antiaereo, di cui sono conservate perfettamente tutte le tracce: panche, latrine, infermeria, motti sui muri. É un dispositivo di salvataggio ma anche coacervo di paure, di convivenza forzata, di degrado umano, di afrori. Poi per settant’anni la cava-rifugio diventa un luogo dell’oblio, ma anche discarica. Il Rifugio di Cava Daniele, nel cuore del quartiere Antico Corso nel cuore della città di Catania, è una cavità antropica scrigno di memoria archeologica e geologica, all’interno del quale apparentemente non vi è nulla di gioioso, dove è assente l’interazione con il presente, dove il futuro sembra non esistere, schiacciato da un pesante passato: perché allora dovrebbe diventare un tassello di trasformazione?

Rifugio aereo di Cava Daniele - Catania

Tentiamo una risposta: perché la storia dei luoghi non va subita passivamente, ma va… usata. Non può esistere azione civica che non riconosca la dimensione storica del nostro essere società, pur con le sue luci e le sue ombre. Non siamo comunità se non comprendiamo come siamo arrivati qui e ora, cosa abbiamo azzeccato e cosa abbiamo sbagliato (Dal Pozzolo, 2015). Il Rifugio Antiaereo sottoroccia di via Daniele potrà dunque raccontare alcune storie di Catania, tra distruzioni e ricostruzioni, moderne e contemporanee: storie che non sono cristallizzate nel loro tempo, ma che possono aiutarci a capire come siamo arrivati fin qui, e come possiamo (o non dobbiamo) comportarci da qui in poi.

É questo il regalo che ci vogliamo fare per il nostro decimo anno di vita: restituire un pezzo del nostro passato alla città come ci hanno insegnato i nostri maestri, facendolo diventare una traccia fondante per la costruzione del futuro che vorremmo. Ecco perché, dopo anni di lavori preparatori, mercoledì 16 ottobre siamo andati al Rifugio di Cava Daniele, affidato nel 2017 ad Officine Culturali dal Demanio dello Stato, insieme ai nostri partner Elvira e Salvo del Comitato Popolare Antico Corso, Angelo, Sebastiano, Rosetta e Franco del Centro Speleologico Etneo, ed insieme ad alcuni abitanti del quartiere come Mario abbiamo cominciato a rimuovere i rifiuti che ostruiscono l’ingresso. Insieme a loro abbiamo già tirato via più di 7 tonnellate di materiale di risulta, una stratificazione di rifiuti, terra e pietre che non ci permettevano di potere vedere la rampa in pietra lavica che conduce fino all’ampia sala che teneva in salvo i catanesi, quando gli allarmi suonavano in tutta la città per annunciare l’inizio dei bombardamenti.

          

Il Rifugio vuole essere un esperimento di riattivazione corale di uno spazio significativo ma abbandonato, un test per costruire anche qui (dopo gli esperimenti di San Berillo e Librino, per fare solo alcuni esempi) un processo condiviso di gestione del patrimonio pubblico, che risponda in maniera innovativa al bisogno di nuova aggregazione (protagonismo civile), di nuove economie (imprese culturali ad impatto sociale), di nuove relazioni con “l’altro” (coinvolgimento di utenti provenienti dall’esterno del quartiere).

La convergenza dei tre soggetti che si fanno promotori dell’iniziativa è emblematica ed è già il primo passo di quel processo condiviso. Nelle fasi preliminari si sono ritrovati insieme il Comitato Antico Corso, impegnato in tante battaglie per l’omonimo quartiere e attore della ricca fruizione del bastione degli Infetti, e l’Associazione Officine Culturali, che da anni rende il patrimonio culturale della città (Monastero dei Benedettini in testa) comprensibile e accessibile, fisicamente e cognitivamente, coinvolgendo gli utenti nella gestione di molte attività. A loro da il suo supporto il Centro Speleologico Etneo, storica associazione che riunisce appassionati ed esperti di cavità e sottosuoli e promotore di studi e analisi sulle cavità del sottosuolo cittadino, compreso proprio il Rifugio di via Daniele. Tre soggetti diversi, provenienti da percorsi diversi e con storie molto differenti. Tre soggetti che hanno individuato nel progetto comune del Rifugio di via Daniele un modo nuovo di rispondere ad alcuni bisogni della città e degli abitanti del quartiere Antico Corso, mediante un percorso di coinvolgimento attivo dei cittadini.

Da ieri il Rifugio è un “cantiere” che accoglierà tutta la progettualità costruita in questi anni dai tre partner, dagli operatori e dai residenti, e finalizzata a trasformare quel luogo in una risorsa sociale e culturale grazie anche ad una operazione di ricerca di fondi finalizzata ad avviare al più presto le attività progettate. Nei prossimi giorni, in concomitanza con il decimo anniversario, proseguiranno gli aggiornamenti sul percorso/progetto, e anche altre novità.