Biblioteche come presidi civici nelle municipalità di Catania

di Francesco Mannino

Alcune settimane fa, a Copenaghen, la chiusura di una biblioteca del quartiere di Amager ha fatto mobilitare la cittadinanza, arrabbiata perché in quella parte di città rimanesse di fatto “una sola biblioteca per 60mila residenti”. A Catania, invece, la chiusura o l’assenza di biblioteche pubbliche passa abbastanza in sordina: come mai? La città dispone formalmente di una rete composta dalla biblioteca centrale “Vincenzo Bellini”, da alcune sedi decentrate come la “Rosario Livatino” (Via Leucatia) e “Pigno”, e dalle biblioteche riunite “Civica e A. Ursino Recupero”. Ma molte sedi – come quelle degli Angeli Custodi, di Monte Po, San Giovanni Galermo o Tondo Gioeni – risultano chiuse o non operative. Eppure non si registrano proteste né campagne pubbliche per la loro riapertura.

fonte immagine: Biblioteche Modena

Una spiegazione plausibile è che manchi l’abitudine a riconoscere la biblioteca come un servizio pubblico fondamentale. In Sicilia, l’indice di prestito bibliotecario e quello di frequentazione sono circa un decimo della media nazionale (ISTAT 2022). Inoltre, le biblioteche rimaste aperte sono spesso vissute come spazi destinati unicamente al prestito o alla consultazione, con orari ridotti e servizi limitati. La chiusura di una biblioteca non viene quindi percepita come l’alienazione di un servizio, o la negazione di un diritto.
Eppure, in molte città italiane ed europee, le biblioteche stanno diventando infrastrutture sociali e culturali di prossimità. Non solo luoghi per leggere, ma spazi pubblici inclusivi, accoglienti, gratuiti: ambienti dove studiare, leggere, ma anche incontrarsi, partecipare ad attività culturali, costruire relazioni. Antonella Agnoli le ha definite “piazze del sapere”, perché offrono opportunità di apprendimento permanente e cittadinanza attiva.

fonte immagine: Biblioteche civiche torinesi

In una città segnata da gravi disuguaglianze sociali, ma non di meno educative e culturali, immaginare una biblioteca attiva in ogni municipalità significherebbe restituire senso e valore allo spazio pubblico. Vorrebbe dire offrire a tutte e tutti – indipendentemente dal reddito, dall’età o dal quartiere di residenza – accesso libero a strumenti di conoscenza e spazi e occasioni di socialità. Un ruolo ancora più urgente oggi, in una fase di contrazione della spesa culturale delle famiglie: nel primo trimestre del 2025 in Italia si sono venduti quasi un milione di libri in meno rispetto all’anno precedente.
Alcuni presidi bibliotecari catanesi, anche grazie alla collaborazione con il terzo settore, provano già ad andare oltre l’ordinario, offrendo attività inclusive e partecipative. Ma si tratta ancora di eccezioni. È necessario invece attivare una pianificazione strutturata e duratura, coinvolgendo persone esperte di biblioteche, chi opera nel sociale, nell’educazione e nell’istruzione. Servono biblioteche aperte, vive e vivaci, comode, belle e ben arredate, luminose e pulite, visibili e riconoscibili come spazi comuni e permanenti.
La candidatura di Catania a Capitale italiana della Cultura 2028 potrebbe essere l’occasione concreta per rilanciare questo immaginario, trasformandolo in visione strategica e progettazione esecutiva: significherebbe inserire nella candidatura servizi per la cittadinanza che potrebbero restare anche dopo la fine dell’anno di Capitale, generando conoscenza, solidarietà e collaborazione. Ripensare le biblioteche come presidi civici vuol dire pensare a una città più giusta, accessibile e coesa. Una città in cui la cultura sia un diritto garantito, uno strumento di riscatto sociale e non un lusso per pochi.

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